Nell'estate del '63, partendo da Roma con due macchine, un gruppetto di già affermati scrittori e artisti, si mise in viaggio verso la Sicilia: alla ricerca del mare limpido, del sole caldo e delle bellezze d'arte che sapeva di trovarvi. Uno di loro, il critico letterario e saggista Enzo Siciliano, decise di tenere, di quel viaggio, una sorta di diario, che pubblicò, al ritorno, in tre articoli apparsi sulla rivista Il Mondo, dove raccontò accadimenti e impressioni di quel tour siciliano fatto assieme ad Alberto Moravia, a Monica Vitti, a Dacia Maraini e a Cesare Garboli.
Nel primo articolo, dal titolo "Vacanza a Siculiana ", apparso sul settimanale diretto da Pannunzio il 29 settembre '63, Siciliano descrive il transito notturno verso Messina, a bordo di un traghetto dove Garboli discetta su quello che pensa sia «il problema dei siciliani» che vivono, secondo lui, «su un'isola con l'idea che sia per niente un'isola», mentre tutti guardano il cielo stellato e Moravia si «schernisce dalla noia, ripetendo continuamente, come un ritornello, zanzaranzero zanzaranzá».
A Messina, poi, la sistemazione nell'unico albergo ancora libero della città, piuttosto malmesso, con stanze piccolee disadorne, con corridoi pieni di grandi specchi con cornici nere, chea qualcuno, annota Siciliano, fecero venire in mente, che «si trattasse di un casino riadattato».
L'indomani, colazione velocissima e partenza per la prima meta: Cefalù. È l'occasione, per la comitiva di illustri viaggiatori, del primo e atteso bagno, «molto gradevole», in un tratto di spiaggia «sotto un brandello di strada morta, asfaltata», prima del pranzo in un ristorante dove, nel mezzo di un'animata discussione sul menu, la Vitti, alla quale viene chiesto un autografo, «sgorbia una firma che non si capisce come le possa assomigliare». Nel pomeriggio visita al Duomo, non senza difficoltà per entrarvi dato che la Vitti è «sbracciata sino agli omeri», Sicilianoè in calzoni cortie un sacrestano che «ha gli occhi di ghiottone» non vuole farli entrare. Ottenuto il permesso dal parroco, intento a chiacchierare sul marciapiede, il gruppo può ammirare, incantato, il Cristo Pantocratee le altre meraviglie della cattedrale. Ripreso il cammino in auto, nella serata, dopo varie soste perché Garboli «pareva in vena di fare i suoi bisogni ad ogni angolo di strada», il drappello d'amici arriva a Bagheria: delle settecentesche ville, guida e narratrice di aneddoti storici e familiari è la Maraini, che in quei luoghi vi ha trascorso l'infanzia, tra i mostri di Villa Valguarnera e l'atmosfera creativa e magica della dimora di famiglia, Villa Alliata.
Il racconto dell'arrivo a Palermo apre il secondo articolo di Siciliano, dal titolo "Da Palermo a Selinunte", uscito il primo ottobre del '63. La città capoluogo accoglie l'affiatata compagnia di turisti eccellenti con il suo caldo asfissiante e il caotico traffico automobilistico, con i suoi monumenti e palazzi che appaiono, a Siciliano «spalmati del colore della Spagna», così come la Cattedrale gli sembra «una scombinata e fascinosa torta bionda». Della città, perlustrata in una sola mattinata, Siciliano scrive: «Resta in mente una visione franta, una bellezza barbara tumultuante. Non si è avuto il tempo di godersela».
Lasciata Palermo, di nuovo in macchina, i viaggiatori si inoltrano verso Misilmeri, il bosco della Ficuzza, Corleone («stiamo facendo un viaggio attraverso la Sicilia del feudo - scrive Siciliano - un'imprevedibile Arizona dai colori tenui: avorio, verde e il celeste del cielo»), poi passano per Selinunte, Sciacca, Palma di Montechiaro; quindi si dirigono verso Siculiana, accompagnati dal barone Francesco Agnello che li ospiterà nel suo palazzo della cittadina agrigentina.
La sosta a Siculiana (raccontata nell'ultimo pezzo intitolato "Da Agrigento a Siracusa" e uscito il 29 ottobre '63) è la più lunga del loro tour, per via dei bagni frequenti e piacevoli e del sole che tutti prendono volentieri sulla spiaggia di sabbia fine e bianca del piccolo borgo marinaro, dove la Maraini dà scandalo col suo costume due pezzi e i pochi e giovani bagnanti siculi, allegri ed esibizionisti, danno vita a giochi piuttosto infantili e a canti che hanno ritmi da nenie arabe. A Siciliano fanno pensare al modo ancora arcaico di comunicare (con riti, simboli, gesti) e di vivere, comunitario e festaiolo: «Questo vivere in collettivo non manca di una sua bellezza: se si pensa all'assurda, stomachevole coralità provocata dalla civiltà del benessere - tutti con la stessa macchina, alla stessa spiaggia, con gli stessi abiti, lo stesso gergo in bocca, i sentimenti determinati, nell'orecchio la stessa radiolina, nel palato il sapore della stessa bibita - si rischia di venir presi, anche se alla lontana, dal teatro di questi costumi». A Siculiana, conversando col sindaco del paese, i visitatori percepiscono, con un certo disappunto, come la mafia venga vista anche dal primo cittadino, che peraltro è un comunista, come un male fatale, come una reazione perversa ad una secolare miseria e oppressione e per questo, se non da giustificare, da comprendere, quasi da tollerare; ascoltando, invece, durante le cene serali, il barone Agnello, gran conoscitore della nobiltà palermitana, apprendono, tra l'altro, dello strano modo che aveva la baronessa dell'Arenella di definire le smancerie e le adulazioni, col termine, da lei coniato, di «personaggerie», e vengono edotti sull'aspetto fisico e sul particolare carattere di Tomasi di Lampedusa, di cui Agnello è stato amico intimo: «Era grasso e come rimpicciolito nella sua statura reale; con labbra appena profilate, pungente e caustico anche con gli amici intimi, godeva nel primeggiare in silenzio, amando che il raggio della sua persona splendesse sugli astanti inavvertitamente. Fu la sua croce che il mondo letterario non si accorgesse di lui e del suo tacere».
Ma più di tutto, ad attirare l'attenzione di Moravia, a Siculiana, sono i tetti rossi delle case, che «sembrano comporre uno squarcio di tela cubista».
Il giro della Sicilia, degli scrittori, prosegue per Agrigento, con l'immancabile sosta ai templi, per Ragusa e le «città-spettacolo» con il loro barocco, e infine per Siracusa. E qui nella luminosa piazza del Duomo («una delle più belle piazze d'Italia»), Siciliano scopre una Sicilia diversa da quella funerea e oscura presente nelle pagine più note dei letterati siciliani, «racchiusa nell'Amen con cui inizia Il Gattopardo e nel momento supremo del Mastro Don Gesualdo cheè quello della sua morte»; scopre la Sicilia «ilare», nelle sembianze di un giovane che ha sfiorato appena, per strada, con la macchina e che lo rincorre: «Gli vidi un profilo di belva - annota Siciliano - il naso levigato e la fronte convessa, la bocca turgida nell'urlo. Poi sorrise».
Silvestro Livolsi per Reppublica.it, 13 Settembre 2013