Tra Antiche Seduzioni E Nuovi Richiami



Siculiana è un comune della provincia di Agrigento, e dal capoluogo dista una ventina di chilometri. La parte antica si protende su una collinetta a 85 m sul livello del mare. E' stata considerata da storici illustri, come Filippo Cluverio, umanista e geografo di Danzica, l'antica Camico, poi Cena, uno dei posti visitati da Antonino nel suo famoso itinerario da Agrigento verso occidente.
Certo è che si trova, nei pressi di Siculiana Marina, la foce di un torrente, il cui letto è stato nell'ultimo decennio desolatamente cementificato. Il suo nome assume ora tratti esagerati, considerata l'esigua portata, ma sicuramente nel passato doveva essere ben più abbondante; si tratta del fiume Canne, che una certa attinenza pare avere con Camico. Citazione dell'esistenza di Camico nel territorio siculianese è fatta anche dallo storico licatese Gaetano Linares nel suo opuscolo dal titolo "Alcune parole sul vero sito di Gela in Licata" dato alle stampe in Palermo nel 1845. L'originale, vera e propria rarità bibliografica, si trova presso la Biblioteca Centrale di Palermo. Il contenuto è una smentita delle tesi dello storico tedesco circa la disputa secolare sull'identificazione del sito di Gela in territorio di Terranova, piuttosto che in Licata, come invece asserisce essere il Linares. Smentite le tesi cluveriane con argomentazioni particolareggiate, il licatese condivide invece la collocazione dell'antica fortezza sicana di Camico nella zona di Siculiana.

Il Linares sostiene: "Tal altra fiata pensa Cluverio essere, il Dedalio di Cocalo, in Siculiana dove suppone la cittadella di Camico, così detta pel sottostante fiume che oggi chiamasi – Fiume delle Canne – Continua ancora citando Cluverio: <<Aliud hic flume inter Halicum (Platani) et Agrigentum amnes nullum est, quod 18 circiter millia ab hoc; ab illo vero novem vulgari appellatione dicitur nunc...Quod Camicum esse ex eo documento colligo. Circa hoc mille ferme passus, totidemque a mari recedens, oppidulum est aspero, ac natura munitu situ, quod vulgo inculis nunc vocatur Siculiana: id ex situ antiquum illud esse Camicum colligeris>>. Su Licata, Linares è stato contraddetto da successivi studi archeologici e storiografici. Fino a quando non saranno effettuati ritrovamenti e ricerche sistematiche, sia di Gela, sia di Camico si continuerà e disputare.

L'esatta ubicazione del sito che fu splendida reggia di Cocalo re dei Sicani, infatti, è contesa in un ampio raggio di territorio, da S.Angelo Muxaro fino alle vicinanze di Agrigento, precisamente sulla rupe, o addirittura sino a Naro, sopra il monte Castellaccio, nonché a Caltabellotta, nella rupe Gulèa, in una zona piena di grotte chiamata Gogàla. D'altro canto il prestigio derivante dalla presunta collocazione, anche solo nei pressi, di un posto tanto favoleggiato, rende ogni zolla di terreno pervasa di fascino e mistero ineguagliabili.

Camico: la corte di un re che possedeva dei tesori tanto grandi da commissionare a Dedalo in persona il progetto per la costruzione di un palazzo-cassaforte pieno di posti segreti e di camere blindate scavate nella viva roccia.

Cocalo: il re spietato che offrì ospitalità a Minosse re di Creta e, dopo averlo blandito con vino speziato e musiche conturbanti, fatto ammaliare dalla bellezza delle sue tre figlie lo fece morire, affogandolo nelle vasche termali piene di acqua bollente.

Le intenzioni del sovrano cretese, assetato di vendetta nei confronti del suo architetto Dedalo, erano piuttosto bieche, ma forse giustificate dalla rabbia nei confronti di chi aveva costruito la giovenca metallica che aveva consentito alla sua sposa di appagare l'insano desiderio nei confronti di un toro. Aveva progettato il labirinto in cui rinchiudere il frutto di quell'accoppiamento: Minotauro e, dopo aver garantito come impossibile l'uscita, aveva svelato ad Arianna il segreto per consentire a Teseo di e uccidere il fratellastro-mostro e uscire con facilità.
La sorte di Minosse nella reggia di Cocalo fu terribile, come la menzogna che dovettero sentire i fedeli sudditi che lo avevano seguito nel viaggio: una sfortunata fatalità aveva fatto sì che il loro re scivolasse nelle acque caldissime.
Non si era riusciti a salvarlo; potevano seppellirlo loro stessi. Il re di Creta venne mortalmente punito per l'intenzione di vendicarsi su Dedalo, di cui le tre figlie di Cocalo si erano perdutamente innamorate. Leggenda, o storia a cavallo tra favola e mitologia. Leggenda di Dedalo che gli storici fanno risalire al XIII secolo a.C.

I Sicani però hanno vissuto veramente in queste zone della Sicilia e si ha anche la data esatta della costruzione di Camico o Kamikos: il 1240 a.C. Che fossero popolo autoctono o di provenienza iberica (presso il fiume Sicano in Spagna) non è certo. Diodoro Siculo li vuole abitanti delle alte vette dei monti e adoratori di Venere Ericina. Per Dionigi di Alicarnasso i Sicani abitavano tutta l'Isola e intorno al 1270 a.C. furono cacciati dai Siculi, Elimi e Ausoni e dovettero rifugiarsi nella sua parte occidentale. Timeo li considerò popolo autoctono, costretto, a causa di una forte eruzione dell'Etna, ad allontanarsi verso occidente e, dopo alcuni scontri con i Siculi, a concludere una serie di trattati che definirono i confini dei reciproci territori. Il punto è che di questo popolo, comparso in Sicilia nel Neolitico (civiltà di Stentinello) non esistono tracce di scrittura, e i ritrovamenti archeologici sono piuttosto scarsi: piccoli orci in ceramica difficilmente collocabili in un contesto storico ben definito.

Erano una popolazione mite, dedita alla pastorizia e all'agricoltura e si stanziarono su tutto il territorio dell'Isola chiamandola Sicania, mentre prima era chiamata Trinacria ( Tucidide VI, 2,3,4 Storie).
I principali centri dei Sicani furono: Iccara, Inycon, Indara e Camico.
Secondo Pausania e Diodoro Siculo, Cocalo o Kokalos, era re della città di Inycon.
E fu proprio a Inycon che accolse Dedalo fuggitivo da Creta e gli ordinò la costruzione della mitica Camico, dove successivamente si trasferì.
Le ipotesi di Luciano Rizzati in una recente sua pubblicazione portano alla conclusione che le due città, Inycon e Camico possano essere state vicine e che il re Cocalo si fosse trasferito a Camico, mentre la maggior parte della popolazione avesse continuato a vivere a Inycon e che quest'ultima abbia mantenuto tale nome fino al V sec a.C. per diventare in seguito Trionkale.
Camico leggendaria e misteriosa, citata da innumerevoli storici,da Antioco di Siracusa a Timeo,a Duride di Samo, nominata da Erodoto,Pausania,Platone e Aristotele.
Resa ancor più famosa da Sofocle in una delle sue tragedie (I Kàmikoi).
Possibile che non rimanga nulla di questa meraviglia architettonica? Una scritta su una cinta muraria, una traccia che identifichi finalmente la reggia più contesa e favoleggiata della Sicilia occidentale?
L'unica certezza al momento è la sua distruzione, avvenuta nel 258 a.C. nel corso della prima guerra Punica. Tanto crudele e rovinosa questa guerra da radere al suolo l'intera città, da far sì che se ne perdessero per sempre le tracce.
Intanto ogni paese che abbia una tomba sicana o una grotta su una rupe, continua a ventilare la possibilità che si possa trattare dell'antica Camico.
Siculiana per la vicinanza al mare, vicino approdo alle navi del re Minosse. Per la presenza del fiume Canne che molta assonanza ha con Camico.
Lo storico Vito Sequestre afferma che Camico era un fiume della Sicilia, da cui prese il nome la città. Tale fiume divide gli agrigentini e quindi va ricercato nel territorio politico di Agrigento.
Visibili ancora oggi, all'imbocco del borgo marinaro di Siculiana, che in parte è stato risparmiato allo scempio paesaggistico, sono delle cavità a forma di cuneo su una parete rocciosa, simili a molte altre presenti nella zona circostante e assimilabili a tombe sicane.
E le stufe vaporose della reggia di Kokalos che origine avrebbero avuto o che collocazione? Monte Kronio a Sciacca probabilmente. La vasca dove si raccoglievano le acque termali sarebbe la Kolymbetra e le acque quelle del fiume Alabon, l'odierno Carabollace.
Mille possibilità, nessuna certezza; almeno fino a quando le zolle pietrose di questa parte della Sicilia, rivoltate magari accidentalmente, ci daranno un riscontro, una traccia da seguire.
Dai Sicani ai saraceni, ai normanni.
Miti e leggende s'intessono intorno a questo paese affacciato sul mare africano.
Il mare è stato da sempre di importanza fondamentale, tanto che si fa risalire il nome della località ad una definizione araba, Suq Al Jani (mercato di Giovanni), data all'emporio presumibilmente sito in Siculiana Marina, luogo di scambi commerciali e traffici marittimi a cui approdavano le triremi provenienti dalle coste del mar Tirreno. Molte di quelle navi ripartivano con i loro ventri carichi di grano.
Se dell'emporio sul mare non rimasero tracce visibili, a parte i resti di silos per la conservazione del grano, di cui adesso non esiste pietra su pietra, il nome che fu dato all'insediamento urbano a poca distanza, poco più di due km, ne portò conseguentemente l'eredità etimologica.
Il Pirri, infatti, afferma essere di derivazione saracena la denominazione data al paese, tanto da sostenere la tesi della presenza, nella parte più alta della collina, di una rocca: Kalat Segul, citato tra gli undici fortilizi che resistettero agli assalti di Ruggero il Normanno, e che fu poi raso al suolo dopo la resa di Girgenti datata 25 luglio 1087.
In alcuni atti dell'Archivio Capitolare di Agrigento, che si collocano dal 1329 al 1338, si fa riferimento a un casale, distrutto durante le incursioni normanne.
Il nome di tale casale, riportato dallo stesso Diodoro Siculo (rivista di storia, archeologia e folklore "Siculus in Akragas"), è ripetuto nelle varie denominazioni: Suguliana, Suculiana, Seguliana e Seculiana.
Il primo documento ufficiale che riporta il nome del paese, è un diploma di Guglielmo I re di Sicilia, passato alla storia come "Guglielmo il Malo", atto risalente al 1161, con il quale veniva concesso <<Casale Suguliane in territorio Agrigenti positum inter Murtilata, Latoronimum, Garchibit et mari>> a Matteo Bonello, nobile normanno e signore di Caccamo, famigerato per aver assassinato nelle vie di Palermo, proprio davanti al palazzo arcivescovile, Maione da Bari.
Ancora un documento conservato nell'Archivio Capitolare di Agrigento menziona "Sugulianam" come posto presso il quale è ubicato un casale, stavolta quello di "Fauma".
Fin qui si è accennato a mercati, empori e casali, ma nel 1269, secondo il monaco domenicano e insigne storico saccense Tommaso Fazello, fu concessa da Federico III di Aragona nipote dello "stupor mundi" Federico II di Svevia, che era diventato re di Sicilia dopo la guerra del Vespro, l'investitura della baronia di Siculiana a Federico Chiaramonte, dei Clermont di Piccardia d'Auvergen, un territorio a guardia del braccio di mare antistante l'antica rocca. Era la ricompensa per il contributo spontaneo e decisivo dato dai suoi soldati nella vittoriosa guerra del Vespro.
Il nobile cavaliere ricevette, insieme con quella di Siculiana, anche le baronie di Racalmuto e Favara.
Federico propose condizioni vantaggiose a coloro i quali si fossero insediati nella zona, per incrementarne il loro numero.
Intanto costruiva il castello che prese il suo nome, era il 1310.
Secondo alcuni storici, tra cui il Palmeri e l'Aprile, Federico Chiaramonte si sarebbe limitato a ricostruire la fortezza di Siculiana sui resti dell'antica rocca saracena.
L'impronta dei Chiaramonte nello stile architettonico è inconfondibile, con chiare analogie riscontrabili nei castelli di Favara e Racalmuto.
Questa di Siculiana doveva essere e fu una vera e propria fortezza. La posizione sopraelevata, le mura tanto consistenti e la presenza di un ponte levatoio quale unica entrata possibile, ne fecero di fatto una roccaforte pressoché inespugnabile.
L'accesso era stato ricavato scavando nella roccia e da esso, attraverso un androne, sovrastato da un enorme arco centrale, si poteva entrare nella grande piazza d'armi che aveva una sagoma triangolare. Al centro della piazza era stata ricavata una cisterna molto capiente che serviva a raccogliere l'acqua piovana da utilizzare nel caso in cui il castello fosse stato posto sotto assedio.
Cominciava a nascere il primo nucleo del paese attorno alle mura del castello merlato.
La fama del bellissimo castello si accrebbe in occasione del secondo matrimonio dell'unica figlia di Federico Chiaramonte,Costanza.
La nobile donzella era già andata una prima volta a nozze, sposando Antonio del Carretto, signore assoluto e marchese degli Stati di Savona e Finale.
Insieme alla bella Costanza, il nobile ligure aveva ottenuto in dote da Federico, le baronie di Calatabiano e Siculiana e la contea di Racalmuto.
Da questo matrimonio nacque un figlio maschio chiamato con lo stesso nome del padre prematuramente scomparso.
La giovane vedova ebbe seconde nozze fastose e solenni, e la cerimonia, che vide il suo destino intrecciarsi con quello del nobile genovese Brancaleone Doria, si svolse proprio nella piazza d'armi del castello, imbandierata a festa per l'occasione, e fu riferita con dovizia di particolari in ogni vicina contrada.
Il tutto avvenne in un alone di fascino speciale, amplificato dall'esistenza di un'antica credenza che vuole benedetti dalla Provvidenza i patti matrimoniali conclusi sulla Rocca di Siculiana.
Se la baronessa Costanza fu felice o meno a noi non è dato sapere; non esistono documenti che lo attestino, ma è indubbio che il suo consorte ebbe gran fortuna, tanto da essere nominato nel 1335 governatore di Sardegna.
Alla morte di Federico, avvenuta nel 1311 a Girgenti dove la madre, Marchisia Profolio dei Signori di Ragusa e conti di Caccamo aveva fondato il Convento di San Francesco e il Monastero di Santo Spirito, la baronia fu ereditata da questa unica figlia, Costanza Chiaramonte.
Quando questa morì la baronia passò al figlio di primo letto Antonio del Carretto Chiaramonte, barone di Racalmuto, come risulta da un censimento fatto effettuare da re Martino I di Sicilia nell'anno 1413.
Il castello e la baronia appartennero ai Chiaramonte fino al 1427, quando comparve sulla scena siculianese un nobile di Catalogna, Gilberto Isfar (o Desfar) y Corillas, arrivato nell'Isola al seguito del re Alfonso I il Magnanimo che gli aveva conferito l'ufficio di maestro segreto del Regno. Egli comprò le terre e la fortezza, con vari privilegi nel 1430 e il feudo di Favarchi nel 1432.
Di questi privilegi ottenuti dal nobile catalano scrive nella sua opera "Le due deche dell'Istoria di Sicilia" lo storico Tommaso Fazello: <<...impetrò novellamente la potestà di congregar gente, non che l'uso della spada ed in fine ottenne nel 1437 di esportar liberamente, a sei miglia dall'emporio, le così dette tratte...>>.
Sotto la sua baronia assunse notevole importanza "Il Caricatore", già conosciuto dagli arabi come "Tirsat Abbad".
Nel 1440 Gilberto divenne Vicario generale del Regno e, dopo trent'anni, investì il figlio Giovanni Gaspare che chiese al suo sovrano, re Alfonso, di poter conglobare alla baronia di Siculiana anche il territorio di Monforte.
Il figlio di costui, Vincenzo, avendo ereditato i feudi alla morte del padre, decise di vendere Siculiana a Guglielmo Valguarnera, ritenendo però le tratte.
Questo può farci intendere ancor più l'importanza e l'entità dei commerci che si svolgevano nella zona.
Sostiene ancora il Fazello che Federico Isfar si riappropriò dei suoi possedimenti e li trasmise ai legittimi discendenti.
In questo periodo il nucleo del paese contava circa 38 case.
Nel 1592 prese investitura della baronia di Siculiana e delle Saline, Blasco Isfar, definito dall'abate e storico Vito Amico <<uomo in guerra e in pace splendidissimo>> che dal matrimonio con Laura Caetani non ebbe eredi maschi, quindi l'eredità passò alla figlia Giovanna, moglie di Vincenzo del Bosco duca di Misilmeri.
Da un censimento effettuato all'epoca si contavano a Siculiana 564 abitanti.
Giovanna diventò principessa allorché, per privilegio di Filippo III, il marito ricevette l'investitura di Cattolica e intorno al 1610 vi fondò il paese.
Lo stemma degli Isfar-Del Bosco, tre monti d'argento fiammeggianti di rosso moventi dalla punta, su campo azzurro, è in parte stato adottato nello stemma civico di Siculiana, anche se qui il campo è rosso, i monti sono cinque e al centro c'è anche un gatto nero, che è il simbolo dello stemma della famiglia Bonanno.
Le insegne dei Chiaramonte e dei Bonanno, che ebbero il feudo nel periodo successivo, si potevano scorgere in passato nelle mura del castello e vi si poteva leggere anche il motto " Nec sol per diem, nec luna per noctem".
L'andamento demografico del paese era in netto aumento, tanto da far contare circa 1029 abitanti.
Nel 1655 fu nominato principe di Cattolica e barone di Siculiana, Francesco del Bosco da cui nacque Giuseppe, che morì senza eredi nel 1668.
Nel 1713 si era passati a 3042 anime, un bel numero certamente, per un'economia basata su agricoltura e pesca.
Nel 1720 s'investì della baronia Francesco Bonanno, zio per parte di madre di Giuseppe.
Francesco Bonanno, infatti, era figlio di Rosalia del Bosco e di Filippo Bonanno ed era già principe di Roccafiorita, duca di Montalbano e di Misilmeri.
Di lui si elencano titoli e feudi da poter riempire pagine intere; tra i tanti: cavaliere del Toson d'Oro, Gentiluomo di camera del re Vittorio Amedeo di Savoia e del re Carlo III ed era anche uno dei dodici pari del Regno; basti dire che il prestigio e la fama di questa famiglia la fanno considerare a ragione una delle più ricche e nobili della Sicilia. Molti storici, tra cui Mugnos, Inveges e Villabianca, descrivono nei loro scritti lo splendore di questa ricca e antica famiglia
Egli fece costruire nel 1736 a Bagheria la "villa Cattolica", che possedeva ben 365 aperture, tante quanti sono i giorni dell'anno.
Alla morte di Francesco, il figlio Giuseppe Bonanno Filangeri, ereditò l'immenso patrimonio e assommò ai titoli ereditari, come quello di Grande di Spagna e per quanto riguarda le vicende del territorio siculianese, barone e Maestro Portulano del Caricatore di Siculiana.
Tanto onore e prestigio in cariche e onorificenze ebbe questo nobilissimo cavaliere, che si rese necessario il suo trasferimento a Napoli, presso la corte del re, per poter attendere alle sue mansioni.
Occorse quindi affidare i suoi interessi in Sicilia a qualcuno che potesse prendersene degnamente cura.
Giuseppe nominò quindi il fratello Don Emanuele Bonanno Filangeri suo Procuratore Generale, incaricandolo del governo di tutte le sue Baronie e i suoi Stati.
Purtroppo la lontananza della Famiglia dall'Isola ne determinò la decadenza e il fallimento: il tenore di vita che mantennero alla corte di Napoli comportò oneri economici altissimi e l'amministrazione dei beni non venne fatta oculatamente; il risultato fu il declino economico della potentissima famiglia.
Nel 1779 morì Giuseppe Bonanno e gli successe il figlio Francesco Antonio Bonanno Filangeri che sposò poi Caterina Branciforti dei Principi di Butera.
Con la legge votata dal Parlamento Siciliano, precisamente il decreto del 10 luglio 1812, venne abolito il Baronaggio e quindi la famiglia, come le altre nobili famiglie siciliane, perse tutti i privilegi feudali, tutte le baronie, i ducati.
Dal censimento datato 1861 risulta che gli abitanti del paese in quell'anno erano saliti a 5794.
Pare che i Bonanno abbiano ottenuto nuovamente il feudo di Siculiana con un decreto ministeriale datato 26 dicembre 1898.
L'ultimo discendente a possederlo risulta sia stato un Bonanno Perez.
Nel 1901 Siculiana contava addirittura 7084 abitanti, record battuto solo nel 1951 quando il loro numero salì a 7911. Da allora si è assistito a un decremento e uno spopolamento continui.
Dopo l'esproprio dei terreni della Chiesa da parte del Regno d'Italia, un nobile pisano residente a Palermo, il barone Nicolò Agnello, si aggiudicò in un'asta pubblica il possesso della baronia e dell'antico castello, possesso che la famiglia tenne fino al 1915, quando venne affiancata da altre famiglie nobili del luogo, come i Basile, gli Scalia e gli Scaramazza.
Le condizioni pessime della fortezza fecero sì che dopo l'unità d'Italia fosse adibita a carcere mandamentale.
La sua parte orientale o " Quarto Nobile", la più antica e interessante, dove si trovava una torretta sormontata dallo stemma dei Chiaramonte, venne fatta letteralmente demolire dal barone Stefano Agnello che vi fece costruire una residenza più sontuosa dove trascorrere la villeggiatura.
Secondo alcune testimonianze dell'epoca, ai tempi di Francesco Agnello, il castello ebbe a ospitare il grande scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Fu in quelle stanze che vennero scritte alcune pagine del famoso romanzo "Il Gattopardo".
Ancora fascino e forti richiami che avvolgono il paese e il suo castello.
Un altro personaggio del passato, lo storico prussiano Ferdinand Adolf Gregorovius, fa menzione degli abitanti di Siculiana incontrati nel suo viaggio in Sicilia del settembre 1853. L'opera, dal titolo "Passeggiate per l'Italia", dedica alcuni capitoli alla ricognizione nell'Isola e nel percorso che da Selinunte lo portò a Girgenti, ebbe a incontrare dei siculianesi che così descrive: <<...Le donne portano sul capo, come mantiglia, un tessuto a velo bianco e nero, gli uomini un alto berretto a punta, pure esso bianco e nero...In silenzio, sotto un magico chiarore lunare, attraversammo questa sinistra solitudine, salutati ovunque da grida di civette e accompagnati dal malinconico mormorio delle onde, fino a che raggiungemmo il molo di Girgenti, porticciolo distante tre miglia da Agrigento>>.
In tempi certamente più vicini a noi, altro visitatore illustre fu Alberto Moravia che negli anni '60 ebbe a sostare in paese.
Un articolo di un vecchio editoriale agrigentino, "AG 63" pubblicato con il patrocinio dell'Azienda Autonoma Soggiorno e Turismo, descrive ampiamente la circostanza.
Alberto Moravia, in compagnia di Dacia Maraini, Monica Vitti, Enzo Siciliano e altri suoi amici, rimase in paese per un certo periodo, per ultimare il suo romanzo "L'Attenzione", ambientato nei sobborghi romani.
Un giornalista agrigentino lo intervistò proprio mentre si trovava al Palazzo Agnello e lo descrive efficacemente: <<Alberto Moravia, sdraiato su una poltrona, senza scarpe, con una camicia azzurra sbottonata, le mani che roteano nell'aria quasi a provocare un alito di vento, ci parla a lungo del luogo che ha scelto per una villeggiatura lunga e distensiva>>.
Poi riporta i commenti che Moravia fa sul luogo: <<Un paese perfetto, nato dalla terra; questa è Siculiana, un centro povero ma calmo, non intaccato dall'industrializzazione...I tetti di Siculiana mi hanno colpito per la loro impressione cubista...c'è un caldo quasi soffocante... è come se il paese intero respirasse e dalla mia camera riesco a cogliere le frasi pronunciate da ogni passante potendolo sentire mentre agisce e si muove fra cose amiche che non privano di genuinità il suo fare>>.
Poteva scegliere un posto qualsiasi del mondo, invece in quel periodo scelse Siculiana, con i suoi ritmi di vita a misura d'uomo, ben diversi da quelli della sua Roma.
I componenti della sua comitiva, in quell'agosto afoso giocavano a carte, chiacchieravano o strascicavano su e giù dal mattino fino a notte inoltrata, tra la curiosità contenuta dei siculianesi.
Monica Vitti, guardando il panorama dalla facciata Nord del palazzo ebbe a dire: <<Le case sono tutte belle, sembrano di sabbia rossa, e di sera, quando le mille luci si accendono, il paesaggio diventa irreale>>.
Altre note di seduzione colte negli scorci e nelle persone di Siculiana.
Una specie di strana attrazione che innamora chi soggiorna in questi luoghi e, anno dopo anno, un'estate dopo l'altra, torna a riviverci per le vacanze, per immergersi e gustare di quel mare cristallino, della sabbia fine e dorata distesa sotto i trubi e le alture che s'innalzano selvagge a dimora di poiane e civette.
Al viaggiatore che seguendo le orme di altri più o meno famosi visitatori di Siculiana, suggerisco tre percorsi che lo conducano a rivisitazioni magiche e seducenti di un passato ricco di suggestioni.

La via dei Sicani. In cerca di Camico

L'itinerario potrebbe avere come prima meta Naro per visitare il monte Castellaccio che si trova a soli 2 km dal centro abitato. Risalente al 1240 a.C. il castello edificato dai Sicani sorge su altopiano a forma di quadrilatero. Anticamente doveva avere una cinta muraria imponente di cui oggi rimangono visibili solo piccole porzioni. Restano anche una torre e una scala che si pensa conducesse fino alle porte della città, e numerose grotte. Proseguendo verso Agrigento si potrà visitare la rupe Atenea e da lì scendere verso i meravigliosi giardini della Kolymbetra, da poco restaurati e ora Patrimonio FAI. Si tratta di un antico agrumeto- frutteto situato tra il tempio di Castore e Polluce e il tempio di Vulcano. Passando nei pressi di Porta Aurea sarà facile individuare la tomba di Terone, tiranno di Akragas che ritrovò ad Eraclea Minoa le spoglie del re Minosse e le restituì ai Cretesi.
Il viaggio continua verso S. Angelo Muxaro le cui tombe, portate alla luce negli anni '30 hanno forma di cupola conica (Tholos) e contenevano in genere molti cadaveri. Tra esse la tomba più grande, quella del "Principe", depredata in tempi antichi e utilizzata in seguito anche come chiesetta bizantina. Essa è costituita da due grandi camere comunicanti, nella più interna si trova il letto funebre intagliato nella roccia. Questa necropoli è una parte del complesso archeologico che si estende attorno al monte Castello. Spettacolari sono le tombe ad alveare dette "Grotticelle".
Eccoci a Siculiana, dove le grotte Sicane si ammirano facilmente nella parte iniziale del borgo marinaro.
Da qui il viaggio prosegue verso Eraclea Minoa, che fu costruita sulla riva sinistra del fiume Halicos (Platani), nei pressi di Capo Bianco e che deve il nome ai cretesi che vollero così onorare la morte del loro re Minosse. Sulle sue rovine, verso la fine del VI secolo a.C. Dorieo Lacedemone, della famiglia degli Eraclidi fece costruire Heraclea così denominandola in onore della sua famiglia. Visitabile è quel che resta del teatro, della cinta muraria e un piccolo museo.
Ancora sulle tracce di Camico ci si inerpica a Caltabellotta dove sulla Gogàla si trova un complesso abitativo di grandi grotte con un'alcova reale scavata nella parte più alta di una di esse. Il percorso si conclude a Sciacca, ancora su un'altura, Monte Kronio. Il nome richiama quello del dio del tempo, Kronos, padre di Zeus. Le grotte naturali da cui scaturiscono vapori caldi ne ha fatto una rinomata stazione termale.
La storia di questo sito riconduce ancora a Dedalo che con la sua esperienza in labirinti si pensa abbia fatto in modo che i vapori bollenti che uscivano dalle fenditure sulla roccia, fossero convogliate nelle grotte e utilizzate a fini terapeutici. Le grotte più grandi sono chiamate "Antro di Dedalo" e Grotta degli animali". Un piccolo Antiquarium raccoglie reperti rinvenuti nella zona.

La via dei Chiaramonte

Prevede la visita ai tre castelli chiaramontani e inizia da Racalmuto.
Qui Federico Chiaramonte ricostruì nel Trecento circa l'imponente dimora che aveva eretto Roberto Malconvent, un francese al seguito di Re Ruggero d'Altavilla.
Per la pianta trapezoidale, le tipiche finestre, i torrioni a base circolare, la disposizione del portale, il castello può essere considerato una costruzione caratteristica dell'architettura militare sveva. Dagli inizi del Novecento è stato dichiarato monumento nazionale.
Il castello Chiaramonte di Favara ha forma quadrangolare con bifore alte e allungate. Nel cortile c'è una scala decorata da cui si accede al piano superiore. Il portale esterno ha forma ogivale e da lì si entra nella cappella attigua coperta da una cupola emisferica di stile arabo.
Eccoci al castello Chiaramonte di Siculiana, della cui struttura originale rimane ben poco.
La parte anteriore della fortezza comunicava con l'esterno per mezzo di un ponte levatoio. Dall'ampio cortile, un tempo piazza d'armi, si accedeva alle scuderie, agli alloggi dei custodi e dei soldati, ai depositi, alle carceri e anche a una chiesa dedicata a S. Maria degli Angeli.

La via dei Bonanno

Una visita a Misilmeri, del cui feudo i Bonanno furono principi, è d'obbligo. Nel Municipio, sulla parete di fondo dell'aula consiliare, troneggiano cinque statue di bronzo, una delle quali rappresenta Don Francesco Bonanno Del Bosco.
Le altre raffigurano Galeno, l'Emiro Giafar, Padre Francesco Cubani e il generale Giuseppe La Masa. Le statue rappresentano i cinque periodi storici della Sicilia: Greco Romano, Arabo, Spagnolo, Illuministico, Risorgimentale. Vogliono simboleggiare rispettivamente la Scienza, L'Arte, il Potere, la Ragione, l'Azione.
Francesco Bonanno Del Bosco si configura come il periodo spagnolo in Sicilia e rappresenta il Potere.
Altra meta significativa quanto interessante è Bagheria dove nel 1736 fu fatta costruire dal Bonanno una magnifica residenza estiva, la villa Cattolica.
La villa si affacciava sulla Via Consolare, l'unica che da Palermo portava a Messina. La sua peculiarità, oltre al numero delle stanze, 365, una per ogni giorno dell'anno, è quella di possedere una "stanza dello scirocco", una camera realizzata nel sottosuolo, a poche decine di metri dalla villa, scavata nel tufo e utilizzata come rifugio nei giorni in cui tirava vento di scirocco. La splendida costruzione, dopo il declino economico della famiglia, cadde in uno stato di abbandono, tanto da essere stata utilizzata come lazzaretto durante un'epidemia di colera che colpì il paese. Nel '900 diventò stabilimento industriale per la conservazione di prodotti alimentari e diede per parecchi anni lavoro a numerose famiglie.
Oggi ospita al primo piano la pinacoteca comunale dedicata al celebre pittore bagherese Renato Guttuso. Oltre che opere del Maestro la pinacoteca ospita anche tele e sculture di artisti che hanno avuto un dialogo artistico con il pittore. Nel giardino antistante la villa, dentro un'arca monumentale di marmo brasiliano di colore celeste realizzata dallo scultore e amico del maestro Giacomo Manzù, riposano le spoglie del pittore che manifestò il desiderio che la sua tomba fosse rivolta verso il mare.
A Siculiana si potrà visitare il Castello che fu possedimento e residenza dei Bonanno. Del Caricatore, di cui Giuseppe Bonanno fu Maestro Portulano, ormai a Siculiana Marina non rimane nessuna traccia.

di Enza Pecorelli